Premessa Politica
La salute dei
cittadini non può essere valutata un costo da abbattere. Il modello
sanitario italiano è considerato uno dei migliori al mondo. Sprechi
e corruzione, purtroppo esistenti, sono stati alimentati dalla
stessa classe dirigente che oggi ha scelto di “gettare via il
bambino con l’acqua sporca”. Ciò che accade alla sanità pontina
è lo specchio di quanto avviene in tutt’Italia da anni. Il
servizio sanitario pubblico viene progressivamente e silenziosamente
smantellato a discapito dell’accessibilità delle cure mediche, di
livelli occupazionali e condizioni lavorative dei dipendenti,
avvantaggiando interessi privati e clientele equamente rappresentati
in entrambi i maggiori schieramenti politici. Il Piano Strategico
Aziendale 2014-2016 approntato dalla direzione della ASL di Latina
asseconda, sostiene e giustifica questo processo già in corso,
tentando di indorare la pillola con termini quali “efficienza” o
“razionalizzazione”. Il Piano dichiara di assumere ed attuare le
direttive europee riguardanti il taglio delle spese pubbliche, le
politiche nazionali ad esse conformi e le indicazioni del Commissario
ad Acta della Regione Lazio, che producono la drastica riduzione
delle risorse economiche destinate alla salute (Pag 4, Pag 5). Il
governo Renzi continua deciso sulla strada intrapresa introducendo
altri 4 miliardi di tagli dal bilancio delle Regioni. La Giunta
Zingaretti sostenuta da Partito Democratico e SEL è in questa fase
il principale attore di tale processo, in piena continuità con
quanto fatto in precedenza dalla destra. Non a caso il piano è stato
approvato dai Sindaci della provincia con una maggioranza
schiacciante di 20 voti favorevoli e sei astenuti. Nessun comune ha
votato contro il Piano, in cambio di modifiche minime e del tutto
ininfluenti, a riprova dell’ipocrisia e della piena connivenza dei
tanti che avevano finto di contrastarlo per sfruttare a proprio
vantaggio la disapprovazione dei cittadini, cavalcando spinte
campaniliste. In realtà è la logica stessa che sottende al Piano
che deve essere respinta nel suo complesso perché devastante e
chiunque si proponga di emendarlo o correggerlo si mostra in realtà
complice e sostenitore del disegno di riordino complessivo. La
condivisione di questo disegno appare chiaramente trasversale a
Centrodestra e Centrosinistra in conformità con il liberismo
dilagante, quindi i cittadini devono abbandonare la cultura della
delega riscoprendo il valore della lotta e della partecipazione se
intendono bloccare il processo in corso e invertirne la tendenza.
Il Piano
Il Piano strategico
aziendale è chiaro rispetto alla filosofia di fondo che lo ispira ma
estremamente generico e assai indeterminato riguardo al modo, ai
tempi e alle disponibilità da mettere in campo nel conseguimento di
numerosi obiettivi proposti. In questo senso si può dire che le
risposte omesse pesano più di quanto effettivamente scritto nel
documento. In altre parole si comprende cosa e come verrà tolto, ma
non si dice come verrà dato ciò che si promette. Il Piano assume le
direttive di bilancio dettate dalla Regione che dimezzano le
principali voci di spesa sanitaria tra il 2015 e il 2016, passando da
una previsione di 9.026.509 E nel primo a 4.513.255 E nel secondo
anno (Pag 76). In riferimento alla già gravissima carenza di
personale, principale causa attuale di rapida degenerazione del
sistema sanitario, si fa riferimento supinamente al perdurare del
blocco del Turn Over, prevedendo un’ulteriore riduzione delle unità
mediche e paramediche, un invecchiamento progressivo ed una perdita
di funzionalità delle stesse, un consistente aumento del precariato
(Pag 21, Pag68, pag 70) . Si riconosce inoltre la “prolungata
carenza di investimenti strutturali e tecnologici” (Pag. 20). E’
evidente che non si può migliorare l’efficienza di un servizio
riducendo le già insufficienti risorse ad esso destinate. Eppure si
promettono le “Nozze con i fichi secchi”. Come? Le condizioni
suddette determinano una scelta già in atto che consiste nel ridurre
al minimo le strutture ospedaliere, prima distribuite uniformemente
sul territorio, concentrando all’interno di pochi presidi servizi e
reparti mentre gli altri ospedali vengono depotenziati, subordinati,
cancellati o trasformati in “Case della Salute”, ovvero grossi
ambulatori (Pag 24 e altri punti). Questo si intende con locuzioni
tecniche e fumose quali “Implementare il modello organizzativo
articolato in aree omogenee per livello di complessità
assistenziale” (Pag 46) o differenziare l’“intensità di
cura”. Ai grandi centri ospedalieri sarà destinato il trattamento
dei casi “Acuti”, comprese le urgenze, e la gran parte dei
ricoveri di cui si intende ridurre significativamente numero e durata
attraverso regole di accettazione più rigide ed escludenti. Alla
cura delle patologie croniche, in numero maggiore e crescente per
l’aumento dell’età media della popolazione provinciale, sarà
dedicata una rete costituita in gran parte da 5 “case della salute”
(una per ogni distretto), dalle piccole strutture superstiti, dalla
medicina Generale (i medici di famiglia) e dal ricorso alla
telemedicina, della quale si parla in modo estremamente vago e
generico senza prevedere alcuna risorsa, come non si prevede
concretamente alcun potenziamento dell’assistenza domiciliare (Pag
64, Pag 65). Si propone di rafforzare una rete di ricoveri e servizi
insufficiente sfruttando in modo maggiore il rapporto con le
strutture private convenzionate, alimentando un business crescente
anche attraverso la spesa pubblica della ASL (Pag 42 e altri punti).
Una distinzione così netta e cristallizzata tra casi “cronici” e
“acuti” è di per sé pericolosissima perché come è tristemente
noto i primi possono rapidamente degenerare nei secondi e il tempo di
accertamento ed intervento in questi casi segna spesso la distinzione
tra la vita e la morte. La concentrazione delle strutture destinate
al trattamento delle acuzie comporta l’aumento dei trasferimenti in
ambulanza e delle distanze percorse, con un aumento proporzionale del
rischio in caso di urgenze. Lo stesso documento segnala tra i punti
di debolezza provinciali “un sistema di comunicazione inadeguato
per sviluppo e per qualità che rende disagevoli i collegamenti
interni all’azienda lungo l’asse longitudinale (Nord-Sud) e in
qualche caso anche lungo gli assi trasversali …” (Pag 20). Non è
certo un mistero che tra il Nord e il Sud della Provincia ci sono
circa 100 KM da percorrere. Viene omesso nel documento che i costi
dei trasferimenti sono particolarmente alti, mezzi e attrezzature
insufficienti e le ambulanze circolano già spesso con i pazienti a
bordo in assenza di personale medico qualificato. L’Ospedale
“Goretti” di Latina e il “Dono Svizzero” di Formia sarebbero
destinati a fungere da grandi strutture poli-specialistiche residue
che richiederebbero interventi di potenziamento e ampliamento per i
quali lo stesso documento riconosce evidenti difficoltà legate alle
carenze strutturali degli edifici e alla scarsità delle risorse
economiche, mentre entrambi i presidi versano già in condizioni di
crescente sofferenza a causa dell’aumento dell’utenza dovuto allo
smantellamento degli ospedali limitrofi, all’insufficienza di spazi
e apparecchiature, alla gravissima carenza di personale (PAG 46). La
stessa elezione sulla carta di Latina a DEA di II livello, che
comporterebbe condizioni simili ai più grandi e prestigiosi centri
romani, suona attualmente ridicola e paradossale di fronte
all’evidenza di una situazione incomparabilmente diversa e a
garanzie concrete pressoché inesistenti. Tale Ospedale manca
attualmente di circa 180 dipendenti per lo svolgimento dell’attività
ordinaria ed il personale a disposizione è sottodimensionato di
circa il 30%. Presidi quali quello di Fondi subiscono uno svuotamento
progressivo e lampante mentre il piano non prevede alcun intervento
per invertire tale tendenza, tantomeno li considera tra quelli
“eletti”. Altre strutture come quelle di Gaeta, Minturno,
Priverno e Sezze, hanno già subito il pressoché completo
smantellamento, la trasformazione in “case della salute” o si
trovano nella fase finale di tale processo. Anche in questo caso non
viene prevista alcuna iniziativa o risorsa per invertire tale
tendenza. Ciò appare particolarmente paradossale nel caso di presidi
quali il “Luigi Di Liegro “ di Gaeta, dotati di strutture e sale
operatorie all’avanguardia e sottoposti anche di recente a costosi
interventi ma sempre più inutilizzati, in contraddizione proprio con
i criteri di economia e razionalità che il Piano enuncia. Si prevede
pertanto e si incentiva la vendita (alienazione) degli edifici della
ASL non più utilizzati e di quelli che lo saranno in futuro per
recuperare qualche soldo, togliendo ogni residua speranza per una
futura inversione di marcia (Pag 57 Pag 58). Resta in una sorta di
“limbo” per ora indefinito il presidio di Terracina, dotato di
una parziale immunità dovuta in parte alla sua funzione di polo
universitario, che vede coperte parte delle spese dall’ateneo
romano. Sul fronte della rete destinata al trattamento delle
cronicità si manifestano limiti della stessa entità. Non ultimo
l’impiego dei medici di famiglia, in una crescente organizzazione
in “gruppi” e all’interno delle “Case della Salute”, ne
svilirà l’autonomia professionale e introdurrà strumenti di
controllo verticale sul loro operato nell’ottica della riduzione
della spesa farmaceutica, ma soprattutto sottrarrà gran parte del
loro impegno al rapporto diretto e preferenziale con i propri
pazienti, vero punto di forza del nostro sistema sanitario (Pag 40).
Non si prevede alcun serio intervento strutturale per potenziare il
servizio al fine di accorciare le liste d’attesa, divenute in molti
casi insostenibili, al di fuori di un utopistico richiamo ad una più
razionale gestione delle prenotazioni programmate, all’utilizzo
crescente dei mezzi informatici e (ancora una volta) ad una migliore
sinergia con la sanità privata (Pag 42, Pag 43). Del resto già
attualmente quest’ultima risulta di fatto estremamente
avvantaggiata dalla lunghezza delle attese e dal progressivo aumento
dei Tickets. A seguito del quadro generale esposto inoltre personale
medico, infermieri e operatori socio sanitari, già sottoposti in
molti casi a turni massacranti e straordinari, verranno assoggettati
a ritmi di lavoro sempre più pressanti, con conseguente incremento
delle probabilità di errori umani nel compimento di un ruolo tanto
delicato e importante. Il personale sarà chiamato a coprire le
carenze della rete territoriale con trasferimenti più frequenti tra
le strutture provinciali, temporanei e intermittenti o definitivi. Il
personale con contratto a tempo determinato e le ditte esterne
rischiano sempre più il mancato rinnovo del contratto.
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