La
provincia di Latina vive da tempo una profonda crisi occupazionale
dei settori manifatturieri e produttivi in generale. Questa
congiuntura negativa persistente è oramai di assodato carattere
strutturale ed è aggravata dagli attacchi al settore pubblico e dei
beni comuni, oltre che dalle politiche clientelari delle classi
dirigenti, che erodono diritti e salari di lavoratori e lavoratrici.
Si può affermare in tal senso che questa provincia è stata
addirittura laboratorio politico per tali privatizzazioni selvagge a
fronte di precarizzazione del lavoro, nel quadro di un indirizzo
economico dettato dall'UE (si pensi ad esempio al caso di
Acqualatina). Il dramma che però emerge più evidente è quello dei
licenziamenti e delle chiusure delle fabbriche con tutte le sue
conseguenze dannose per le famiglie e le collettività. In tutta la
provincia di Latina si assiste a processi fallimentari di
riconversione industriale, a dismissioni ed estromissioni assistite
dal settore lavorativo. In un tale quadro, bisogna purtroppo
constatare che il ruolo dei sindacati confederali durante le crisi di
fabbrica o le vertenze in altri settori si è limitato il più delle
volte a quello di co-gestori di tali processi, secondo una logica
concertativa che ha teso a ridurre la conflittualità, indebolendo le
posizioni dei lavoratori fino ad annientare spesso la loro coscienza
di classe. Si è assistito da parte delle sigle confederali anche ad
aperte avversioni a forme di occupazione ed autogestione delle
fabbriche da parte degli operai a difesa del propri posti di lavoro,
persino in casi come quello della Mancoop di Castelforte poi
rivelatosi di successo per i lavoratori. Tutto ciò produce anche
sfiducia verso i sindacati, soprattutto fra coloro che, rassicurati
in un primo momento da improbabili tavoli concertativi e
ammortizzatori vari, si sono poi ritrovati per strada senza più
possibilità rivendicative o tutt'al più in un limbo di nuove
condizioni contrattuali più precarie e incerte. D'altronde queste
politiche sindacali non fanno che rispecchiare quelle nazionali
portate avanti negli ultimi vent'anni, aggravate da una subalternità
verso il centrosinistra e il Governo delle larghe intese, interprete
a sua volta delle politiche di austerity europee. Proprio nel pieno
di una crisi economica e occupazionale epocale, con scarse agitazioni
e quant'altro immobilismo sindacale si è consentito invece la
cancellazione dell'art.18 e la riduzione degli ammortizzatori
sociali, i contratti nazionali e molti accordi aziendali sono stati
peggiorativi soprattutto per i nuovi assunti, e tutte le manomissioni
del sistema pensionistico pubblico sono state pure qui concordate o
accettate da Cgil, Cisl e Uil. Manca insomma in questo grave momento
storico un sindacato che sia contemporaneamente di massa , di classe
e di lotta.
In quanto
al Partito della Rifondazione Comunista, ad esso manca a sua volta un
sindacato di riferimento e manca pure ad oggi una propria linea
condivisa di intervento sindacale, condizione indispensabile
per un radicamento nei luoghi di lavoro, necessaria per svolgere un
ruolo politico nelle lotte, fondamentale per ricostruire il
sindacalismo di classe. Molti nostri militanti e simpatizzanti, in
provincia così come nel resto d'Italia, sono tesserati nelle varie
sigle sindacali, sia confederali che di base, anche con ruoli
dirigenziali. Pure a ragione di ciò, ma prima ancora per il ruolo
politico che si reputa richiesto ad un partito comunista in questa
fase di pesante arretramento e disaggregazione del Lavoro rispetto al
Capitale, prevale oggi nella Federazione di Latina di Rifondazione
Comunista la sensibilità verso quella necessità di un indirizzo
sindacale comune per tutti i suoi iscritti ed elettori. Consapevoli
delle differenze e particolarità territoriali di una provincia di
per sé geograficamente disomogenea, e preso atto dei risultati
parziali e gli arretramenti conseguiti da attitudini passate
esclusivamente mutualistiche verso i lavoratori, si reputa ora di
dover elaborare tale indirizzo per arrivare a pratiche vertenziali
comuni di lotta, al fine di costruire e rafforzare un movimento
sindacale unitario di tutti i comunisti ovunque organizzati in
qualsiasi forma conflittuale, che siano essi all'interno della CGIL,
dei sindacati di base o delle realtà autogestite.
In tal
senso, è fondamentale esprimersi a riguardo degli imminenti
congressi territoriali della CGIL in vista del Congresso nazionale di
questo Sindacato. La CGIL è infatti il più grande sindacato
italiano, ma come già detto ha rinunciato da tempo a svolgere un
ruolo di classe. Tuttavia è importante che sopravviva al suo interno
la contraddizione, con una opposizione che si riconduca a concetti
conflittuali. Non può quindi sfuggire il ruolo che la sua minoranza
(la cosiddetta Rete 28 Aprile) propone con il II documento
congressuale, di cui Giorgio Cremaschi è il primo firmatario.
Le linee
guida di tale documento, denominato “Il Sindacato è un'altra cosa
– RivendicAZIONI per per una CGIL indipendente, democratica, che
lotta”, possono essere sintetizzate grosso modo in tre
macro-direttive per il sindacato:
1)
Rompere con le complicità con la classe padronale e dunque pure con
i gruppi dirigenti di Cisl e Uil, per costruire una vera unità
sindacale delle lavoratrici e dei lavoratori fondata sulla
democrazia, sull'indipendenza e su un sindacato di lotta che non
osteggi il conflitto di classe.
2)
Rompere con l'Europa delle banche, della finanza, dei tecnocrati e
delle multinazionali;
stracciare
subito il fiscal compact e tutti i trattati europei che ci impongono
l'austerità e anche con questo fermare lo smantellamento della
sanità, dei servizi sociali e l'attacco permanente al lavoro
pubblico, alla scuola pubblica, alla formazione e il diritto allo
studio. Scendere quindi in lotta sia a livello nazionale, sia in ogni
territorio, per difendere, ampliare e ricostruire il controllo
pubblico sui beni di tutti.
3)
Elaborare un piano del lavoro fondato sull'intervento pubblico, la
riconversione produttiva (comprese lotta alle grandi opere e
riduzione delle spese militari) e sulla lotta allo sfruttamento.
Cancellare quindi tutta la legislazione che ha consentito e
incentivato il dilagare della precarietà, comprese le leggi
discriminatorie contro i migranti, ricostruendo invece la
contrattazione nazionale e aziendale, senza sottostare ai vincoli
imposti dagli accordi confederali, per ridare al contratto nazionale
la funzione di aumento del salario reale e di miglioramento delle
condizioni di lavoro. Concetto portante in tale direzione, il
classico “lavorare meno, lavorare tutte e tutti”.
Per
perseguire tali linee, i firmatari del documento vedono necessario il
partire da piattaforme discusse e condivise dai lavoratori, basate
tra l'altro sull'introduzione di una legge che garantisca alle
lavoratrici e ai lavoratori la democrazia sindacale. Su questo punto
c'è da dire che pure il Partito della Rifondazione Comunista non può
che prospettare per sé un ruolo politico nel rilanciare il tema
della
“democrazia nei luoghi di lavoro”
per ricomporre la classe lavoratrice. Questo significa anche proporre
in quei luoghi forme consiliari di democrazia diretta, non
controllate quindi dalle burocrazie centrali, quelle stesse
“aristocrazie” sindacali spesso strumentali a partiti come il PD
a loro volta parte organica dei progetti del capitale finanziario
internazionale. In questo senso, il II Documento ha un altro lucido
merito: quello di sostenere chiaramente che si possono difendere
ambiente e civiltà assieme al lavoro soltanto se si mettono in
discussione le politiche di austerità dei governi e le complicità
malavitose tra politica e affari. Questo processo è impossibile se
non si è
autonomi
e alternativi rispetto le forze politiche del centrosinistra che
eseguono tali politiche.
A
conclusione di questa breve esposizione del Documento della minoranza
della CGIL, emergono comunque evidenti le molte
concordanze di intenti politici fra tale area sindacale e il
progetto di un Partito della Rifondazione Comunista che lavori per
una sinistra alternativa, anticapitalista e contro quindi i diktat
europei padronali, affinità che per quanto detto fin qui non si
ravvedono in tale forma in altre forze organizzate all'interno di
questo sindacato. E' inoltre ancor più lampante ed oggettivo che in
questo Congresso in questione solo il II Documento va nella direzione
di quella ripresa della conflittualità e del sindacalismo di classe
che la Federazione di Latina del PRC sostiene. E' per questi motivi
che, fermo restando la libertà di voto di coloro che reputano in
qualche impervio modo perseguibili gli stessi risultati in altra
maniera all'interno della CGIL, auspichiamo il miglior risultato
possibile per il Documento “Il Sindacato è un'altra cosa –
RivendicAZIONI per per una CGIL indipendente, democratica, che lotta”
e invitiamo i nostri iscritti, elettori, simpatizzanti e quanto altri
tesserati con tale sindacato a sostenere tale documento a partire dai
prossimi congressi territoriali.