"Il Comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo Comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente". Karl Marx

martedì 21 gennaio 2014

LINEA SINDACALE DEL “PRC – FEDERAZIONE DI LATINA” IN VISTA DEL CONGRESSO NAZIONALE DELLA CGIL

La provincia di Latina vive da tempo una profonda crisi occupazionale dei settori manifatturieri e produttivi in generale. Questa congiuntura negativa persistente è oramai di assodato carattere strutturale ed è aggravata dagli attacchi al settore pubblico e dei beni comuni, oltre che dalle politiche clientelari delle classi dirigenti, che erodono diritti e salari di lavoratori e lavoratrici. Si può affermare in tal senso che questa provincia è stata addirittura laboratorio politico per tali privatizzazioni selvagge a fronte di precarizzazione del lavoro, nel quadro di un indirizzo economico dettato dall'UE (si pensi ad esempio al caso di Acqualatina). Il dramma che però emerge più evidente è quello dei licenziamenti e delle chiusure delle fabbriche con tutte le sue conseguenze dannose per le famiglie e le collettività. In tutta la provincia di Latina si assiste a processi fallimentari di riconversione industriale, a dismissioni ed estromissioni assistite dal settore lavorativo. In un tale quadro, bisogna purtroppo constatare che il ruolo dei sindacati confederali durante le crisi di fabbrica o le vertenze in altri settori si è limitato il più delle volte a quello di co-gestori di tali processi, secondo una logica concertativa che ha teso a ridurre la conflittualità, indebolendo le posizioni dei lavoratori fino ad annientare spesso la loro coscienza di classe. Si è assistito da parte delle sigle confederali anche ad aperte avversioni a forme di occupazione ed autogestione delle fabbriche da parte degli operai a difesa del propri posti di lavoro, persino in casi come quello della Mancoop di Castelforte poi rivelatosi di successo per i lavoratori. Tutto ciò produce anche sfiducia verso i sindacati, soprattutto fra coloro che, rassicurati in un primo momento da improbabili tavoli concertativi e ammortizzatori vari, si sono poi ritrovati per strada senza più possibilità rivendicative o tutt'al più in un limbo di nuove condizioni contrattuali più precarie e incerte. D'altronde queste politiche sindacali non fanno che rispecchiare quelle nazionali portate avanti negli ultimi vent'anni, aggravate da una subalternità verso il centrosinistra e il Governo delle larghe intese, interprete a sua volta delle politiche di austerity europee. Proprio nel pieno di una crisi economica e occupazionale epocale, con scarse agitazioni e quant'altro immobilismo sindacale si è consentito invece la cancellazione dell'art.18 e la riduzione degli ammortizzatori sociali, i contratti nazionali e molti accordi aziendali sono stati peggiorativi soprattutto per i nuovi assunti, e tutte le manomissioni del sistema pensionistico pubblico sono state pure qui concordate o accettate da Cgil, Cisl e Uil. Manca insomma in questo grave momento storico un sindacato che sia contemporaneamente di massa , di classe e di lotta.

In quanto al Partito della Rifondazione Comunista, ad esso manca a sua volta un sindacato di riferimento e manca pure ad oggi una propria linea condivisa di intervento sindacale, condizione indispensabile per un radicamento nei luoghi di lavoro, necessaria per svolgere un ruolo politico nelle lotte, fondamentale per ricostruire il sindacalismo di classe. Molti nostri militanti e simpatizzanti, in provincia così come nel resto d'Italia, sono tesserati nelle varie sigle sindacali, sia confederali che di base, anche con ruoli dirigenziali. Pure a ragione di ciò, ma prima ancora per il ruolo politico che si reputa richiesto ad un partito comunista in questa fase di pesante arretramento e disaggregazione del Lavoro rispetto al Capitale, prevale oggi nella Federazione di Latina di Rifondazione Comunista la sensibilità verso quella necessità di un indirizzo sindacale comune per tutti i suoi iscritti ed elettori. Consapevoli delle differenze e particolarità territoriali di una provincia di per sé geograficamente disomogenea, e preso atto dei risultati parziali e gli arretramenti conseguiti da attitudini passate esclusivamente mutualistiche verso i lavoratori, si reputa ora di dover elaborare tale indirizzo per arrivare a pratiche vertenziali comuni di lotta, al fine di costruire e rafforzare un movimento sindacale unitario di tutti i comunisti ovunque organizzati in qualsiasi forma conflittuale, che siano essi all'interno della CGIL, dei sindacati di base o delle realtà autogestite.

In tal senso, è fondamentale esprimersi a riguardo degli imminenti congressi territoriali della CGIL in vista del Congresso nazionale di questo Sindacato. La CGIL è infatti il più grande sindacato italiano, ma come già detto ha rinunciato da tempo a svolgere un ruolo di classe. Tuttavia è importante che sopravviva al suo interno la contraddizione, con una opposizione che si riconduca a concetti conflittuali. Non può quindi sfuggire il ruolo che la sua minoranza (la cosiddetta Rete 28 Aprile) propone con il II documento congressuale, di cui Giorgio Cremaschi è il primo firmatario.
Le linee guida di tale documento, denominato “Il Sindacato è un'altra cosa – RivendicAZIONI per per una CGIL indipendente, democratica, che lotta”, possono essere sintetizzate grosso modo in tre macro-direttive per il sindacato:
1) Rompere con le complicità con la classe padronale e dunque pure con i gruppi dirigenti di Cisl e Uil, per costruire una vera unità sindacale delle lavoratrici e dei lavoratori fondata sulla democrazia, sull'indipendenza e su un sindacato di lotta che non osteggi il conflitto di classe.
2) Rompere con l'Europa delle banche, della finanza, dei tecnocrati e delle multinazionali;
stracciare subito il fiscal compact e tutti i trattati europei che ci impongono l'austerità e anche con questo fermare lo smantellamento della sanità, dei servizi sociali e l'attacco permanente al lavoro pubblico, alla scuola pubblica, alla formazione e il diritto allo studio. Scendere quindi in lotta sia a livello nazionale, sia in ogni territorio, per difendere, ampliare e ricostruire il controllo pubblico sui beni di tutti.
3) Elaborare un piano del lavoro fondato sull'intervento pubblico, la riconversione produttiva (comprese lotta alle grandi opere e riduzione delle spese militari) e sulla lotta allo sfruttamento. Cancellare quindi tutta la legislazione che ha consentito e incentivato il dilagare della precarietà, comprese le leggi discriminatorie contro i migranti, ricostruendo invece la contrattazione nazionale e aziendale, senza sottostare ai vincoli imposti dagli accordi confederali, per ridare al contratto nazionale la funzione di aumento del salario reale e di miglioramento delle condizioni di lavoro. Concetto portante in tale direzione, il classico “lavorare meno, lavorare tutte e tutti”.

Per perseguire tali linee, i firmatari del documento vedono necessario il partire da piattaforme discusse e condivise dai lavoratori, basate tra l'altro sull'introduzione di una legge che garantisca alle lavoratrici e ai lavoratori la democrazia sindacale. Su questo punto c'è da dire che pure il Partito della Rifondazione Comunista non può che prospettare per sé un ruolo politico nel rilanciare il tema della “democrazia nei luoghi di lavoro” per ricomporre la classe lavoratrice. Questo significa anche proporre in quei luoghi forme consiliari di democrazia diretta, non controllate quindi dalle burocrazie centrali, quelle stesse “aristocrazie” sindacali spesso strumentali a partiti come il PD a loro volta parte organica dei progetti del capitale finanziario internazionale. In questo senso, il II Documento ha un altro lucido merito: quello di sostenere chiaramente che si possono difendere ambiente e civiltà assieme al lavoro soltanto se si mettono in discussione le politiche di austerità dei governi e le complicità malavitose tra politica e affari. Questo processo è impossibile se non si è
autonomi e alternativi rispetto le forze politiche del centrosinistra che eseguono tali politiche.

A conclusione di questa breve esposizione del Documento della minoranza della CGIL, emergono comunque evidenti le molte concordanze di intenti politici fra tale area sindacale e il progetto di un Partito della Rifondazione Comunista che lavori per una sinistra alternativa, anticapitalista e contro quindi i diktat europei padronali, affinità che per quanto detto fin qui non si ravvedono in tale forma in altre forze organizzate all'interno di questo sindacato. E' inoltre ancor più lampante ed oggettivo che in questo Congresso in questione solo il II Documento va nella direzione di quella ripresa della conflittualità e del sindacalismo di classe che la Federazione di Latina del PRC sostiene. E' per questi motivi che, fermo restando la libertà di voto di coloro che reputano in qualche impervio modo perseguibili gli stessi risultati in altra maniera all'interno della CGIL, auspichiamo il miglior risultato possibile per il Documento “Il Sindacato è un'altra cosa – RivendicAZIONI per per una CGIL indipendente, democratica, che lotta” e invitiamo i nostri iscritti, elettori, simpatizzanti e quanto altri tesserati con tale sindacato a sostenere tale documento a partire dai prossimi congressi territoriali.

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