La Festa dei Lavoratori viene celebrata il 1 maggio in tutto il mondo, affonda le sue radici nell’ultimo decennio dell’800 e nasce esattamente in occasione delle mobilitazioni di Chicago e New York; di li a poco verrà introdotta anche in Europa e, accompagnata da mobilitazioni sempre più imponenti, assumerà presto una portata mondiale. In queste prime mobilitazioni gli operai rivendicavano condizioni di lavoro più dignitose e salari adeguati, ma vengono ricordate soprattutto per la violenta e sanguinosa repressione attuata in quelle occasioni dalla polizia e in un secondo momento anche dai tribunali. La popolazione italiana verrà privata di questa festività sotto il ventennio fascista che la soppresse soprattutto per il forte contenuto socialista e rivoluzionario. Ci è stata poi restituita con la caduta del regime e l’instaurazione della “democrazia”. Da oggi ad allora molte cose sono successe e molto è cambiato. Oggi siamo di fronte ad una forte crisi sistemica di sovrapproduzione, una crisi del sistema capitalistico della quale però stanno pagando le spese le fasce più deboli: la disoccupazione in Italia tocca sempre di più livelli record (13%) e tra i pochi fortunati che lavorano la stragrande maggioranza lo fa in condizioni di precariato e sfruttamento (oltre il 53%); a questi si aggiungono anche coloro che non vengono più annoverati nemmeno tra i disoccupati perché un lavoro vero hanno smesso di cercarlo da tempo ormai; negli ultimi 20 anni siamo stati vittime di governi che, assecondando sempre di più le richieste provenienti dall’imprenditoria, hanno gradualmente deregolamentato e reso sempre più flessibile (e quindi precario) il mercato del lavoro. Partendo dal “pacchetto Treu”, passando per la “legge Biagi” fino ad arrivare all’ultima trovata dei referenti politici delle banche e dei padroni, il “Jobs Act”, la nuova legislazione sul lavoro fortemente voluta dal Governo Renzi e da chi, alla luce del sole o nascosto nell’ombra, lo sostiene e gli impartisce le direttive. L’obbiettivo dei vari governi, di centro-destra e di centro-sinistra, è imporre un modello economico sempre più apertamente liberista e orientato a garantire margini di profitto sempre più alti al capitale italiano e mondiale. Ciò avviene in piena sinergia con i diktat della Troika, che ci impone di uniformarci alla sua politica volta ad accentrare sempre di più la ricchezza prodotta nel nostro paese nelle mani di pochi, ma anche con una ridefinizione in senso autoritario delle istituzioni “democratiche” e dello Stato borghese in generale. Dal canto loro, i sindacati confederali (CGIL, CILS e UIL), si fanno sempre di più portatori delle istanze dell’imprenditoria a discapito di quelle dei lavoratori, dei quali stanno provvedendo progressivamente a svendere i diritti gettandogli al contempo fumo negli occhi e abbandonandoli a loro stessi nelle innumerevoli lotte e vertenze che nascono quotidianamente su tutto il territorio nazionale. Il disagio sociale vissuto dal proletariato e dalla piccola borghesia, che va man mano acutizzandosi, è lo specchio di questi numerosi sconvolgimenti interni al tessuto sociale italiano ed europeo, sconvolgimenti che ancora una volta sono dettati e programmati dall’alto, nel nome del profitto a tutti i costi. Occorre che i comunisti, i sindacati di base e le varie realtà in lotta si auto organizzino e si preparino ad incassare il colpo. C’è la necessità di fare nuovamente breccia nella società attraverso un lavoro metodico e costante, che riporti di nuovo le masse di uomini e donne oppresse a ragionare in termini di classe e di lotta di classe. Non è possibile restare inermi dinnanzi ad un fenomeno di questa portata, non si può più restare nel mezzo, è necessario prendere posizioni nette. Per il ritorno ad un 1 maggio che abbia un senso e che ritorni ad essere nuovamente carico di significato occorre che tutti ritorniamo a lottare per i nostri diritti e per una società migliore, più equa e giusta.
Giovani Comunisti Gaeta
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